Monte Pollino

Continua la magia dei pini loricati.
Fitte faggete da attraversare prima di iniziare a salire il lungo traverso che porta verso la cima. 1900 m. inizia lo spettagolo, lo spigolo esposto, i pini loricati che sporgono nel vuoto, la valle laggiu' in fondo e di fronte la Serra del Prete. E poi la discesa tra le nuvole e l'attraversamento dei piani Toscano e del Pollino che con le Serre di fronte e fioriture senza fine sono momenti di autentica serenità e poesia.


Seconda giornata in terra lucana, saliremo il monte che da il nome all’intera catena, nonostante non sia il più alto, il Pollino. Sempre da colle Impiso partiamo, dal secondo tabellone dei sentieri, quello più in alto, alla sua sinistra inizia l’evidente traccia IPV2, nel primo tratto e all’interno di una bella e alta faggeta scorre senza scossoni e dislivelli quasi interamente in piano e raggiunge dopo poco più di un chilometro la piccola radura del Vaquarro alto; una palina al centro di un incrocio di sentieri e si prende a destra, si rientra nella faggeta e si fiancheggia per un lungo tratto il piccolo torrente che scorre nel valloncello di Viggianello; si tiene l’ampia traccia principale per circa un altro chilometro dove una palina con la segnaletica indica a destra la sorgente di Spezzavummola che raggiungiamo da li a poco (+1 ora). Bucolica piccola radura, un ruscello al centro e maestosi faggi intorno invitano a fermarsi; continuando sulla stessa traccia si entra nella piana Gaudolino (+20 in.) che anticipa di poco il vero inizio di salita al Pollino. La piana si trova tra la boscosa Serra del Prete a destra e il Pollino a sinistra che spicca con la sua parete rocciosa molto verticale è costellata di pini loricati, gli conferiscono un aspetto davvero esotico, un presepio. Il piano Gaudolino è un autentico crocevia di sentieri, per prendere il sentiero che sale al Pollino si attraversa subito a sinistra come si entra nella piana fino ad arrivare a sfiorare il bosco sotto la parete rocciosa e ci si allunga sulla destra, costeggiando il bosco con una traccia già evidente ma che diventa ancora più marcata quando entra nella faggeta e che prende a salire un lungo traverso costantemente in salita. Il bosco ci ha tenuto compagnia quasi ininterrottamente da colle dell’Impiso, non vediamo l’ora di uscirne e solo intorno ai 1900 m. le rocce iniziano a farsi largo e quasi di colpo a prendere il posto dei faggi; è qui che il sentiero si inerpica sullo spigolo roccioso e si apre su uno scenario fantastico fatto di verticalità, di pini Loricati aggrappati alle rocce scoscese, di nuvole ora dense e ore sfilacciate, di una bella vista sulla Serra del Prete oltre la valle sottostante. Belli gli esemplari dei pini su questo versante, avvitati e sofferenti ma stupendi nella loro resistenza estenua agli agenti atmosferici; mi sono divertito con la macchina fotografica, spero davvero che sia riuscito a portarmi a casa qualcuna delle emozionanti immagini che abbiamo vissuto. In basso, tra le nuvole, l’autostrada Salerno-Reggio Calabria si infila in un tunnel, unico segno del mondo di tutti i giorni. Dallo spigolo alla sella rimane davvero poco, quando la raggiungiamo (+15 min.) si spalanca davanti la Serra del Pollinello, un 2000 mancato di poco ma come le Serre di ieri un piccolo gioiello naturalistico, breve rocciosa dorsale costellata di pini loricati, un piccolo presepio che chiude l’ampia conca, la pagina erbosa che scende dal Pollino. Vale la pena fermarsi e raggiungere gli spigoli rocciosi sulla destra, autentici balconi naturali sulla valle sottostante e sul Pollinello. Dopo una non breve sosta riprendiamo la via di salita che continua a sinistra della sella, taglia il versante roccioso poco sotto il primo tratto di cresta e si inerpica con frequenti brevi tornanti per raggiungere prima una sella con affaccio stupendo sul piano Gaudolino e sull’imponente, boscosa e massiccia Serra del Prete e poi a sfiorare un bellissimo isolato esemplare di pino loricato che troneggia nel mezzo del versante; devio per raggiungerlo e fotografarlo da vicino, come sempre il fascino che emanano questi alberi è immenso. Taglio il versante in alto e mi accodo a Marina che invece ha continuato a salire la diagonale del sentiero che dopo aver superato l’ampia pagina della vasta conca sembra più volte intravedere la dorsale di cresta e invece apre sempre altri ambienti di doline e piccole roccette; solo dopo aver superato diverse dorsali minori e aggirato un bel mucchio di doline sono i piccoli nevai che incontriamo ad annunciare la vetta che si manifesta presto col cippo rettangolare di cemento priva di croce ma ricco del segnale trigonometrico (+55 min). Superbo l’affaccio ad Est sui piani del Pollino e sulle due Serre di Crispo e delle Ciavole, un autentico quadro vecchio stile impressionista della fine ‘800. Rimaniamo in vetta una buona mezz’ora, poco sotto la cima per ripararci dal vento e con le Serre davanti, non serviva parlare, era tutto così bello, compresi i chiaro scuri delle ombre delle nuvole che regalavano mutevolezza e colori sempre diversi. Poco dopo il nostro arrivo però, le nuvole che fino a quel momento ad Ovest erano rimaste basse sotto il Pollinello, iniziano a sfilacciarsi oltre la dorsale di vetta, inizialmente senza riuscire a superarla si disperdono nell’aria ma dura poco, grossi e compatti ammassi scuri risalgono lenti e finiscono per coprire tutto, per lunghi tratti rimaniamo dentro un fitto nebbione che ogni tanto si squarcia e regala corridoi di orizzonti davvero esaltanti. Il vento insieme all’umidità delle nuvole fa abbassare la temperatura, ci copriamo col guscio e proviamo a resistere ma non basta, tocca muoversi e ripartiamo, in fondo non ci è andata male, un bel momento di grandi panorami dalla vetta ce lo siamo preso e poi come ieri le nuvole ci hanno regalato immagini diverse e quasi uniche difficili da dimenticare. Ripartiamo verso Sud sfiorando il piccolo nevaio che, segnalato sulle carte, copre più della metà della grossa e chiusa dolina che lo ospita. La dorsale Sud che dai piani sembra essere un lungo piano inclinato solo da scendere velocemente si rivela invece una serie di piccole dorsali rocciose e di parallele piccole valli interne, la tracia del sentiero è marcata, le attraversa e le sale una ad una fino a convogliare la linea di discesa sulla prospicente ma ancora lontana sella del Varco di Malavento, anche sella Dolcedorme. Serra Dolcedorme ha un profilo possente, da quando abbiamo preso a scendere verso Sud ce l’abbiamo avuta sempre davanti, ha giocato a richiamarci continuamente e a nascondersi con le nuvole, che la raggiungevano fino al crinale e poche volte riuscivano a superarla; non rientrava nei nostri piani, ma averla lì davanti era una vera tentazione. Atterrati sulla sella (+1.40 ore) le tentazioni svaniscono, un rapido calcolo per salire i quasi 300 m. che ci dividono e poi naturalmente per scenderli ci proiettava ad un rientro per il tardo pomeriggio, di tempo ce ne era, e di luce pure, semplicemente non era il caso o meglio, avevamo deciso che fosse il caso di prendersela comoda e lasciarci affascinare dai piani del Pollino. Ci abbassiamo su una traccia molto evidente che attraversa un piccolo nevaio prima di traversare decisamente su un bel sentiero che vira a sinistra e che entrando nel bosco senza deviazioni o particolari scossoni atterra sulle praterie dei piani non molto lontano dal Trabucco, una serie di fossi che nascono e muoiono nel giro di poche decine di metri al limite Sud della piana e cha altro non sono che dei veri imbuti, i tipici inghiottitoi degli appennini che hanno origine calcarea. Dopo tanto salire e scendere e dopo tanti boschi attraversati camminare lenti su queste leggere ondulazioni prative ha il sapore della leggerezza, le imponenti fioriture e le sagome delle due Serre dall’altra parte della piana continuano a restituire poesia e momenti di serena tranquillità. Su è giù per i contorni delle doline, un po' per perdere e salire meno quota possibile, molte volte per non disturbare i piccoli gruppi di cavalli che se ne stavano in beata solitudine e che forse ci vedevano come intrusi nel loro mondo. La Serra delle Ciavole di fronte si leggeva nei dettagli tanto era vicina, raggiungerla sarebbe stato facile ma il momento era perfetto così, non valeva la pena infrangere lo stato di grazia che quel territorio ci stava regalando. Mi permetto molte soste, mi siedo sulle rocce che affiorano dal terreno, mi guardo attorno cercando di trattenere tutto o il più possibile, cerco di godermi quello che a tutti gli effetti è un momento perfetto. Traversando il piano Toscano per tutta la sua lunghezza ho modo di ammirare i pochi pini che sono abbarbicati sulla parete Est del Pollino, se ne stanno in posizione scomoda dove c’è roccia, non ne vogliono sapere dei ghiaioni, sono pochi, isolati, aggrappati a degli speroni con le radici che sembrano conficcate direttamente alla roccia; ricordano quei bonsai giapponesi pazientemente costruiti nel tempo su piccole scaglie di roccia e quasi impossibili da concepire nella realtà. Il passo lento non ci evita di arrivare all’imbocco del bosco nel lato Nord della piana (+1.40 min), da qui ritorniamo sulla traccia già percorsa ieri e sappiamo che non ci sarà più niente da prendere se non guadagnare colle Impiso e rientrare alla base; mi guardo indietro col peso della nostalgia che già mi pervade da ieri, non vorrei staccarmi da queste montagne e da questi giardini, ma questo rimane da fare. Sulla via del rientro, per perdere meno quota e un po' per dare un minimo di senso a questo tratto del percorso cerchiamo una deviazione nei pressi o poco sotto la piana del Vaquarro alto; una linea tratteggiata sulla carta di poche centinaia di metri cortocircuita l’IPV3 da dove tornavamo con l’IPV2 che avevamo percorso la mattina; si tratta di oltrepassare il vallone di Viggianello per raggiungerlo. Probabilmente abbiamo superato o non vista la deviazione, forse non è nemmeno marcata e segnata, la traccia eal GPS sembrava decisamente tornare troppo indietro e anche se la morfologia del terreno e il bosco fitto non lasciavano intuire la presenza del fosso abbandoniamo la direzione che seguivamo per tagliare sulla destra; un centinaio di metri, pochi sali e scendi e troviamo il fosso, molto profondo cerchiamo il punto più comodo per guadarlo ed una volta sull’altra sponda, a pochi metri, scorreva l’ampia traccia che avevamo percorso la mattina. Il resto è monotono attraversamento della faggeta, fino a colle dell’Impiso e fino alla macchina (+1,20 ore). E’ stata una escursione facile, mediamente lunga, circa 14 km, quasi 1000 sono i metri di dislivello che si superano e la natura e i paesaggi che si incontrano sono davvero meravigliosi e unici. Ambienti suggestivi quelli del parco del Pollino, unica pecca le immense faggete che raggiungono quote importanti e che fanno parte di una buona fetta della giornata ma poi ci sono loro, i pini loricati, basta incontrarne pochi per dare il senso all’escursione.